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al testo di Giacomo Sansoni
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AUSCHWITZ
Mentre ero come albero arreso alla solina, con le sue ali a libro, di consistenza fina una farfalla su me vola senza paura affinché leggessi le sue misteriose miniature, con cura, tutte le macchie, segni e spire e, di sangue, grumi, tutti gl’inespiati dolori, sindoli nella natura di commessi laidumi: Se Dio è suono che parla, urla e respira, canta, grida, ed espira, che tossisce, singhiozza, vomita e tuona, perché non tuonasti in quegli anni, in quei giorni, in quelle ore, perché non sonasti le tue trombe e svegliasti l’uomo dal torpore, perché non rendesti di proprietà comune l’orrore, perché, come corpo docile alla gravina, svenasti il sangue del tramonto da Elisheva, Chana, Yoh’anan, Adelasia, Desideria, Belisa, Sarah, ed Efesia, da, Clelia David, Yosseph, Ariela, Yaacov, Aron, Levi e Lea; Candida, Adalaieta, Bluma, Ialina, Devora, Briseide, Adina e Yasmina. Dio che non ti vergogni, perché non ruggisti in quell’attimo che morivano i sogni, perché lasciasti, i papaveri, soli a tenere con i denti del cuore, quel tenue filo che è rosso, che da raccapriccio è mosso, che s’alza, s’invola, che è grido è schianto è nota di sangue, è indomito pianto, che non valsero note a venire, anni e secoli a lenire per il reale da abborrire? O! Dio che sei suono che parla, ed espira, canta, grida, urla e respira, che tossisce, singhiozza, vomita e tuona, perché non tuonasti in quei giorni, in quell’ore, che è Yasmina che grida, urla, col cuore che s’incrina s’arrende, rantola ed espira, al sole che per sempre declina? Dio che ancora ti sconosci, perché l’arbitrio, che ancora si perpetua, non sconci? Uomo, che per il colore degli occhi con cui si guarda neghi felicità e bruci il cuore finché arda, e sono sempre, azzurri, di cenere, d’oro, d’erba o di terra, gli occhi con cui la natura, sulle ali, incarnerà le libertà negate, finché avrà farfalle penate. |
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